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Juvara, Filippo.

Architetto italiano. Ancora giovanissimo iniziò l'attività di incisore seguendo la tradizione familiare. Si trasferì quindi a Roma dove, come la maggior parte degli architetti del tempo, si occupò di scenografia e di architettura teatrale e, successivamente, divenne allievo di Carlo Fontana. Sviluppatosi a contatto con il Barocco romano, il suo stile, soprattutto nelle prime opere, risulta chiaramente influenzato dalle ricerche dinamico-luministiche di Borromini quanto di quelle geometrico-lineariste di Guarini. Ma fin dall'inizio questi spunti vengono reinterpretati in funzione di una spazialità che tende alla dissoluzione, ad un mutevole effetto prospettico anziché alla definizione di uno spazio dinamico ma perfettamente individuabile. Di Guarini oltre che la tendenza allo slancio verticale delle costruzioni, J. ereditò l'attenzione al problema tecnico, la tendenza a studiare nuovi sistemi costruttivi. Di provenienza francese l'elaborato sistema decorativo, che peraltro contribuisce a muovere le superfici in morbidi effetti chiaroscurali, di un pittoricismo del tutto originale. L'equilibrata divisione degli spazi, di impostazione classica, contiene il complesso movimento delle linee e delle strutture. Dopo avere lavorato a Roma per il cardinale Ottoboni come architetto-scenografo, fu nominato architetto di corte da Vittorio Amedeo II di Savoia e divenne così l'esponente principale dell'architettura settecentesca piemontese. Tra il 1717 e il 1718 realizzò la facciata della chiesa di Santa Cristina a Torino, nella quale l'accentuato verticalismo dei due ordini di colonne, prolungate dai pinnacoli di ispirazione francese, sottolineano contemporaneamente l'articolarsi della curva della superficie. Dello stesso periodo sono i quartieri militari di porta Susa, il castello di Rivoli e l'inizio dei lavori per la basilica di Superga. Tra il 1719 e il 1720 soggiornò in Portogallo dove progettò la cattedrale, la canonica e il patriarcato di Lisbona. Rientrato a Torino, attese alla decorazione della Venaria e del palazzo Madama, stilisticamente più vicina ai modi classicisti, non propri di J. Di concezione molto più originale sono i due scaloni per palazzo Madama e per il Palazzo Reale: interessante particolarmente il secondo (Scala delle forbici), a tre rampe, sia per l'ardita concezione strutturale che per l'effetto scenografico raggiunto. Opera di notevole rilievo è la Palazzina di caccia di Stupinigi: concepita come un articolato concatenarsi di corpi di fabbrica, sviluppantesi radialmente dalla costruzione centrale, che "disegnano" lo spazio interno dei giardini alla francese, tutta la costruzione è a sua volta racchiusa dentro uno spazio geometrico chiuso. Dal 1725 compì frequenti viaggi a Roma (nel 1732 disegnò un progetto per la sagrestia di San Pietro). Nel frattempo seguiva i lavori della basilica di Superga. Al corpo cilindrico centrale, con cupola su tamburo a colonne accoppiate, si innestano un pronao, che rievoca modi classico-rinascimentali, ed un corpo-basilicale, risolto più felicemente per il ritmo equilibrato dei pieni e del vuoti tipico del gusto pittorico dell'architetto. Interessanti i due campanili laterali, di ispirazione borrominiana, che attenuano la pesantezza della parte anteriore della costruzione. La basilica venne terminata nel 1737. Nel 1735 J. venne chiamato a Madrid per progettarvi il Palazzo Reale (condotto a termine da un suo allievo, G.B. Sacchetti), la Granja e il Castello di Aranjuez (Messina 1678 - Madrid 1736).